Le prime immagini del progetto della nuova passeggiata tra Prelo e Trelo lasciano ammutoliti, mentre i video e i rendering rivelano la concezione che sta a monte del lavoro degli ingegneri.
Imponente, fuori scala, aliena rispetto alla fisicità ambientale, con linee goniometriche che non sagomano la naturale irregolarità della costa rabbiosamente graffiata, la comoda, perfetta, fortificata passerella snatura la differenza propria del luogo che si trasforma da scostante camminamento sul mare in una sorta di autostrada turistico-pedonale.
L’idea di fondo, così come per alti progetti usciti in città in questi anni, è sempre la stessa: spettacolarizzare. Meglio se con immagini come queste che hanno facile presa nei circuiti social, ottimi veicoli di attrazione (non solo) per i turisti.
Ma quel luogo, uno degli ultimi (quasi) intatti di Rapallo dove l’uomo nel passato è intervenuto non prima di essersi guardando intorno, in questo modo viene ferito, irrimediabilmente perduto.
Ancora una volta nel conflitto tra le aspirazioni turistiche della Rapallo da copertina e le specificità proprie e uniche del territorio, le seconde ne escono umiliate. E’ come se si sentisse il bisogno di emancipazione dal carattere selvatico di certi luoghi indigeni in verità assoluti e irripetibili; come se il solo approdo obbligato di una modernità inseguita e anelata – come se ci sentissimo davanti a lei inadeguati – debba necessariamente essere una realtà omologata e massificata nei tratti come nei modi di viverla, relativa, senza memoria né anima.
Non si può non ritrovare in quegli angoli di pace la nostra identità perché luoghi riconosciuti e riconoscibili sono la nostra identità, ne fanno parte integrante. Ne restano pochi di questi luoghi e quel camminamento è uno di questi.
Così ingegnerizzato e artefatto, quell’angolo sbiadirà la sua spontanea naturalezza, la capacità di suggestionare silenzio e di scatenare la riflessione, il senso di mistero e di pace che si svela ad ogni passo, la devozione religiosa che ispira l’incontro, disarmonico e irrequieto – questo sì, perfetto – tra l’uomo, la terra e il mare.
Certamente, la grande ferita sanguinante va curata. Ma qui lo spettacolo c’è già, è intrinseco nel luogo la cui bellezza ha solo bisogno di essere riconosciuta e assecondata.