La passione dei rapallesi per il cemento è cosa nota, anni fa era stato perfino coniato un neologismo, la rapallizzazione entrato nell’uso ormai da decenni. Li distingue dai paesi vicini, da Chiavari e Santa Margherita ad esempio, dove si è costruito, certamente, ma non a questo livello. Proviamo a domandarci il perché di questa lunga storia d’amore. Ma prima facciamo qualche conto.
Nel 1950 Rapallo aveva poco più di quindicimila abitanti, saliti a ventiseimila venti anni dopo e quasi trentamila nel 1981, cifra che è rimasta invariata fino ai nostri giorni; in trent’anni Rapallo ha raddoppiato gli abitanti.
Nel 1950 di seconde case ce n’erano ben poche, nel 1971 la situazione era simile all’attuale, la maggior parte del patrimonio edilizio era già stato realizzato. Per la metà circa questo patrimonio è costituito da seconde case (negli anni Ottanta secondo i dati della Regione le seconde case prevalevano leggermente sulle prime case, in questi ultimi anni il rapporto si è invertito), di conseguenza Rapallo per le dimensioni del suo patrimonio immobiliare potrebbe avere sessantamila abitanti. Tuttavia, se prendiamo come metro di misura gli abitanti, è evidente che il rapporto non è una casa nel 1950 / quattro case oggi, perché le abitudini abitative nel frattempo sono cambiate; se subito dopo la guerra, complice anche le politiche demografiche del fascismo, le famiglie erano numerose e molti anziani convivevano con i giovani, oggi un numero non definito di famiglie è formato da una sola persona, che occupa un appartamento, e molte altre famiglie sono formate da una sola coppia senza figli. Quindi il rapporto non è una casa nel 1950 / quattro case oggi, ma parecchio più alto.
Quando è cominciata questa corsa alla costruzione? Non è iniziata, come generalmente si crede, negli anni sessanta, ma nel decennio precedente, addirittura all’inizio del decennio.
Nel 1954 si leggeva sui giornali che Rapallo si stava trasformando in una collina di cemento (lo riporta Sandro Antonini nel suo libro Tigullio giorno e notte di alcuni anni fa). Quattro anni dopo si parla di una decennale febbre edilizia …volta a un ben più preciso sviluppo. ...Rapallo è un terreno adatto all’iniziativa edilizia (sempre dal libro di Antonini). Proprio in quegli anni venivano abbattute alcune villette che si trovavano oltre la cinta ferroviaria, addirittura alcuni palazzi non molto vecchi in stile liberty, per far posto ai primi palazzi che siamo abituati a vedere. Di questo abbiamo memoria visiva.
Questo avveniva negli anni nei quali il turismo continuava a essere una risorsa importante per la nostra città. Alla fine degli anni cinquanta Rapallo in Liguria era seconda solo a Sanremo per la presenza di turisti, moltissimi gli stranieri. Era ancora la Rapallo frequentata dal jet-set internazionale, l’ex re Faruk d’Egitto ad esempio vi trascorse proprio in quegli anni lunghi periodi, venivano organizzate manifestazioni, come il festival cinematografico. Possiamo quindi affermare che il boom edilizio non ha sostituito un turismo declinante, sia come numero che come qualità, ma l’ha preceduto.
La rapallizzazione (noi preferiamo continuare a chiamarla così nonostante gli sforzi per espungerla dai dizionari) è stata la causa (forse una concausa) del declino, non è venuta dopo.
Fissati ora questi punti fermi, proviamo a domandarcene i motivi. A nostro avviso, il motivo principale è l’incapacità della borghesia rapallese a svolgere una funzione propulsiva nell’economia locale, la sua mancanza di visione e la sua inadeguatezza economica.
I villini e gli edifici liberty erano stati abbattuti perché le famiglie che li abitavano non avevano più i mezzi per viverci. Molti erano stati costruiti da emigranti tornati a casa, ma la guerra e l’inflazione ne avevano falcidiati i risparmi, che evidentemente non erano stati investiti in attività produttive ma lasciati in banca o in titoli del debito pubblico. La vendita della casa, per ottenere in cambio alcuni appartamenti in un palazzo, era allora un modo per far fruttare l’unica ricchezza.
A Chiavari, tanto per fare un esempio a noi vicino, non è successa la stessa cosa, e la ville costruite dagli americani di ritorno ci sono ancora.
Il secondo motivo, la mancanza di visione. I turisti venivano a Rapallo per il piacere di stare da noi, per godere del clima e del mare. Ma con la rapallizzazione le strade sono diventate caotiche, subito fuori del centro non c’è differenza tra Bollate (citiamo a caso) e Rapallo; l’aumento di abitazioni ha influito sulla qualità dell’acqua del mare, per fare un bagno, un bagno decente, da molti anni bisogna andare a San Michele. I rapallesi in vent’anni hanno distrutto il tesoro che avevano. Invece di rendere la città ancora più appetibile ai visitatori, la borghesia rapallese ha scelto la via, più semplice, della rendita immobiliare. Altrove, citiamo ancora Chiavari, si curavano le attività commerciali, a Santa Margherita le attività legate al turismo. A Rapallo si è puntato alla rendita di alcuni appartamenti affittati, o del frutto della vendita di questi appartamenti.
É stata una scelta che la classe politica ha acconsentito, anch’essa senza una visione che non sia l’appagamento immediato. Scelta che le generazioni che sono venute dopo hanno pagato e continuano a pagare, ma non hanno compreso. Perché dopo la rapallizzazione è venuto il porto, ancora tanto cemento sul mare e ora verrà altro cemento sulla passeggiata.
Una casa di Rapallo sopravvissuta alla rapallizzazione, in una foto di alcuni anni fa. Accanto ve ne erano altre (foto Archivio Pietro Olmo).