Dunque, ragazzo mio, ci siamo: domani la scuola riapre le porte.
La geometria di quei muri, il tempio obbligato della costruzione ipotetica di un futuro impalpabile. La tua piccola classe, teatro della trasmissione quotidiana di cultura e sapere. La complicità con i compagni fidati, la leggerezza dei momenti più belli. Questo tuo mondo, impossibile al virtuale, che salda inesorabilmente luoghi e fatti fisici alla tua memoria come tappe scolpite nel racconto della tua vita, io so che in fondo ti è mancato.
Un mondo che domani riconquisti uguale e nello stesso tempo diverso. Sono certo imparerai le sue nuove movenze, apprezzerai quanto è stato fatto per ritrovarlo, tollererai limiti ed errori di chi ha lavorato per rianimarlo.
Ora tutti guardano istintivamente a questo primo giorno di scuola come il momento della maturità per l’intero paese.
Io, figlio mio, non vorrei che domani ripartisse solo la scuola. Nutro la speranza che domani possa liberarsi un nuovo modo di intenderla. Che un nuovo spirito pubblico su di lei si affacci. Definitivamente. Voglio credere che da ora in poi sarà vissuta e percepita come quel maestro che vive drammaticamente il peso del suo ruolo conscio del fatto che va ben oltre il suo lavoro. Come quell’insegnante i cui occhi trasmettono l’urgenza della sua missione. O come quel professore che implacabile ti insegue assetato e disperato mentre veste l’abito del carnefice della tua innocente ignoranza.
Lasciami nella mia illusione. Ora, ragazzo mio, tocca a te. Diversamente dal solito non ho raccomandazioni se non quella di viverla fino in fondo come una quotidiana, insaziabile scoperta. Il resto so che lo hai capito, altro non serve.