In queste ore di emergenza pressante, di comportamenti ammirevoli come quelle degli operatori pubblici della sanità, delle forze dell’ordine e della Protezione Civile e di episodi francamente deprecabili come la fuga in massa – nonostante i chiari messaggi trasmessi da tempo – dalle zone più difficili verso territori come il nostro, ci si interroga preoccupati sull’evolversi della situazione.
Scrivevamo, qualche giorno fa, che una comunità è più forte se c’è consapevolezza di appartenere ad una collettività e la compartecipazioni alle azioni necessarie.
Si ha un’impressione sgradevole: ha fatto breccia l’idea che le persone più colpite fino all’irreparabile siano i malati già in difficoltà per altre gravi patologie, gli anziani in particolare. Dunque si è idealmente allontanato il pericolo, quasi esorcizzato fino a considerarlo lontano, confinato, circoscritto.
Non è così.
Autorità e scienziati ci dicono che la radice del problema è il possibile collasso delle strutture di emergenza negli ospedali: una persona sana, forte, potrebbe ammalarsi gravemente. Tante, tutte insieme, intaserebbero le strutture sanitarie vitali compromettendone la risposta.
Rilanciamo anche noi l’appello ad una condotta che sia rispettosa delle norme, adottando quanto le autorità dispongono. E crediamo sia ragionevole non accumulare altre polemiche evitando discussioni tra autorità pubbliche che appaiono fuori tempo che non aiutano la chiarezza dei messaggi da trasmettere nitidi alla cittadinanza.
Lo diciamo sottovoce, ma con fermezza, invitando ad ascoltare l’appello del Sindaco alla prudenza nei comportamenti.
Come un paziente costretto ad assumere un farmaco, dobbiamo guardare oltre le direttive, comprendere le situazioni senza comode forzature ed assumere, con coscienza, la medicina collettiva di un comportamento civile e maturo, che limita – temporaneamente – le nostre prerogative personali.
C’è un unica cosa da fare da oggi: stare a casa. Uscire solo quando è necessario. Farlo è un dovere.