Ed io continuo a pensare che ci sia necessità di una gigantesca stagione di nuova alfabetizzazione. I fatti che accadono e si susseguono, la cui portata li rende contemporaneamente cronaca e storia – piccole o grandi non importa, ne trasmettono l’impellente urgenza.
Una stagione dove tornino ad imporsi i fondamenti della cultura, della storia, dell’economia, del diritto, della filosofia, dell’etica, della scienza, e di tutto ciò che concorre alla formazione di una compiuta coscienza di individuo e di cittadino, solo così in grado di sostenere il suo ruolo in democrazia. Ruolo che è necessario sia tutt’altro che passivo o inerte perché la democrazia ha bisogno di cultura, coscienza, conoscenza, consapevolezza, responsabilità per sopravvivere. E non di imbelle passivismo, qualunquismo, superficialità, disinteresse, menzogna, violenza.
Tra questi fondamenti un ruolo superiore spetta alla parola, al suo uso, e a tutto questo che le è attinente a partire dalla comprensione del linguaggio fino ad arrivare alla capacità di mediazione culturale dei contenuti (cui siamo sottoposti nelle forme più disparate).
Non certo di una scolastica pedante c’è urgenza e neppure di una forzosa dettatura d’imposte nozioni c’è bisogno. Ma di un complesso formativo-culturale strutturato, diffuso, universale, che permetta di recuperare almeno una parte di quel prezioso terreno perduto con l’efficientismo educativo orientato alla costruzione di uomini-strumento che ha fatto dimenticare la capitale importanza di una dimensione etica e civica che vede alla base la parola e il linguaggio.
In questo ecosistema ipertecnologico che stordisce con le sue possibilità che promettono di annullare le distanze di tempo e spazio in una bolla digitale apparentemente democratica c’è un drammatico bisogno di ricominciare dai fondamentali, proprio a partire dalla riconquista del significato delle parole per riprendere in mano la trama di quel patto sociale che poggia fondamenti proprio sul linguaggio. Storpiare il significato a proprio uso, contestualizzarle i concetti per il mero tornaconto, manomettere il vocabolario come viene fatto regolarmente è il peggiore dei servizi alla collettività perché significa tradire un patto originario.
Oggi le parole elettroniche, scritte con l’inchiostro indelebile della rete, senza filtri né mediazioni, hanno una memoria incancellabile. Dunque pesano ancora di più e ancora di più posso dividere, fare male, uccidere. Impreparati all’oggi, davanti a noi avanzano nuove tecnologie che permettono la generazione di un nuovo livello di contenuti. Dunque, abbiamo capito la sfida che dobbiamo affrontare? Siamo sicuri di essere pronti?
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Nei giorni scorsi si è tenuto a Camogli, nell’ambito del Festival della Comunicazione, un incontro tra lo storico Alessandro Barbero, Stefano Massini e Danco Singer (organizzatore del festival). Il tema Mein Kampf – Conoscere il libro maledetto è uno di quelli che mette i brividi. Ma è quanto mai attuale. Perché tutto è nato proprio dalle parole che un intero popolo ha fatto proprie e che hanno portato il mondo nel peggiore degli abissi. Con la storia che passa, con le crisi che incalzano, con la memoria che sbiadisce dimenticare questa storia è un errore capitale. L’invito è all’ascolto integrale.