Lo scorso 21 febbraio a Parigi i resti di un resistente, Missak Manouchian, fucilato esattamente ottant’anni prima, sono stati trasportati nel Pantheon, insieme con la moglie. É stata una commovente cerimonia, che si è svolta sotto una pioggia battente, conclusa dal discorso del Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron.
Come si comprende dal nome, Manouchian era di origine armena, era un orfano della grande strage di armeni condotta dai Turchi nel 1915. Sopravvissuto, aveva trovato rifugio a Beirut, allora sotto il protettorato francese, e poi, intorno al 1925 era emigrato in Francia, ma non era mai riuscito a ottenere la cittadinanza francese; morì da apolide. Si guadagnò la vita facendo l’operaio, ma studiò da autodidatta, scrisse poesie, tradusse testi dall’armeno al francese e dal francese all’armeno, era un grande ammiratore della Rivoluzione Francese.
A metà degli anni trenta si iscrisse al partito comunista, e in breve ne venne attivista. Iniziò così a muoversi all’interno delle organizzazioni operaie formate da stranieri immigrati in Francia che il partito organizzava in base alle nazioni di provenienza (italiani, tedeschi, ebrei, polacchi, ecc…), conosciute come MOI (Main d’Oeuvre Immigrée), all’interno delle quali gli stranieri interagivano nella loro lingua, e in francese, tra di loro e con i compagni francesi. Con la guerra e l’occupazione da parte dei tedeschi (e in una parte limitata degli italiani) questi gruppi iniziarono la Resistenza, sia a Parigi che in altre città. Manouchian venne arrestato con compagni alla fine del 1943 e fucilato al Mont Valérien (vicino a Parigi) il 21 febbraio 1944. Furono ventidue a essere uccisi dai tedeschi quel giorno; nel gruppo, quattro erano italiani, nati in Italia i cui genitori erano poi emigrati in Francia. Ricordiamoli: Spartaco Fontano, di Gorizia, Amedeo Usseglio di Giaveno (Torino), Cesare Luccarini, di Castiglione dei Pepoli (Bologna) e Antonio Salvadori, nato in provincia di Parma. Ne aggiungiamo un quinto, Rino Della Negra, che era figlio nato in Francia di italiani emigrati.
Gli altri erano tedeschi e ebrei dell’Europa Centrale. Una giovane donna romena venne ghigliottinata in Germania qualche mese dopo.
Non è la prima volta che i resti di partigiani vengono introdotti nel Pantheon, tuttavia questa volta, ed è la prima, si tratta di un comunista e di uno straniero, a sottolineare il carattere non identitario dell’omaggio. Macron, perché la decisione in questi casi arriva direttamente dal Presidente, ha voluto rimarcare questo specifico riconoscimento, sia nel discorso che nella cerimonia (le due bare – Manouchian e la moglie – sono state portate fin sulla soglia dell’edificio da militari della Legione Straniera e all’interno dalla Guardia Repubblicana, è stato suonato a lungo uno strumento musicale tipico dell’Armenia…). Ha voluto ricordare che la Resistenza francese fu anche combattuta da stranieri immigrati. Nel Pantheon verrà collocata una targa che ricorda gli altri fucilati, con i loro nomi. Non furono questi, i soli italiani caduti combattendo il tedesco in terra di Francia; furono decine, persone che avevano fuggito il fascismo italiano e ora si opponevano, in armi, ai nazisti. Prima che anche in Italia nascesse la Resistenza.
Alla retata nella quale venne arrestato il gruppo di Manouchian sfuggì un altro italiano, Martino Martini. Nato a Massa e Cozzile, sulla collina toscana sopra Montecatini, aveva abitato a Genova una decina d’anni, il padre socialista all’avvento del fascismo era stato costretto ad abbandonare il paese e si era rifugiato a Genova. Intorno al 1936 Martino per non essere arruolato nell’esercito e combattere le guerre del fascismo, come diceva, emigrò clandestinamente in Francia. Entrò nel partito comunista francese e, allo scoppio della guerra, iniziò l’attività resistenziale nei gruppi del MOI a Parigi. Probabilmente venne identificato dalla polizia alla fine del 1943, ma sfuggì alla cattura, oppure non venne arrestato nella speranza che portasse a altre persone del gruppo. Ma cambiò zona e sfuggì all’arresto fino alla liberazione della capitale francese (agosto 1944).
In precedenza aveva avuto un qualche ruolo politico all’interno del Partito Comunista Francese e dopo l’occupazione (1940) integrò i primi gruppi della Resistenza. Nel 1941 venne arrestato, insieme alla futura moglie Louise Grandjean, ma dopo qualche mese rilasciato . La pasticceria che gestiva e la compagna francese, che poi sarebbe diventata sua moglie, gli servivano da copertura per la sua vera attività. I comunisti, più degli altri gruppi politici, nell’ambito della Resistenza francese, svolgevano azioni che in Italia sarebbero state dei GAP, e cioè l’uccisione di ufficiali e militari tedeschi o collaborazionisti. Oltre a diffondere propaganda, raccogliere notizie, sabotare linee ferroviarie, esfiltrare piloti inglesi. Martini continuò fino alla liberazione di Parigi, nell’agosto 1944, e successivamente per qualche tempo militò nelle FFI (Forces Françaises de l’Interieur, l’esercito di liberazione). Parliamo di Martino Martini su Piazza Cavour perché il figlio, Fernando, vive da alcuni anni a Rapallo. Come figlio di un resistente francese, lo scorso 21 febbraio era a Parigi, nel Pantheon, ad assistere alla cerimonia.
Dopo la guerra Martino Martini restò a Parigi, destino comune a parecchi fuoriusciti politici italiani, dove aprì un ristorante pasticceria gelateria nella zona di Pigalle, si sposò con la sua compagna del tempo di guerra ebbe tre figli. Il terzo fu Fernando. Negli anni sessanta la famiglia tornò in Italia.
Lo ricordiamo in occasione di questo 25 Aprile per sottolineare come il movimento resistenziale fu essenzialmente europeo e non nazionale, in Italia e in Francia. In Italia, paese di emigrazione, gli stranieri che parteciparono alla Resistenza, furono soprattutto prigionieri alleati fuggiti dai campi, russi che si erano arruolati con i tedeschi e che disertarono, e qualche tedesco che abbandonò l’esercito nazista. Proprio uno di questi, Andreas Landau, combatté nel levante ligure nella brigata GL Matteotti. In Francia, abbiamo visto gli stranieri immigrati e i profughi, di varie nazionalità.
Questi resistenti erano stati preceduti nel anni 1936/38 dalle brigate internazionali in Spagna, che armi in mano affrontarono i franchisti e i fascisti. A dimostrazione che il movimento europeista, che sorse immediatamente dopo la fine della guerra, in realtà era stato preceduto da questo “europeismo resistenziale”.