Sono trascorsi ormai quarant’anni dai sussulti finali del terrorismo rosso che tanto ha insanguinato l’Italia, questo vuol dire che i documenti giudiziari e di polizia sono disponibili per gli studiosi. Perché è dopo la scadenza del termine quarantennale che i fascicoli vengono versati (come si dice nel termine burocratico) agli Archivi di Stato, che li mettono a disposizione del pubblico. In realtà chiunque ha scritto di storia sa che non è che si scriva con i soli documenti di polizia, eppure essi sono una base dalla quale non si può prescindere.
Nell’ultimo anno abbiamo visto la pubblicazione di due libri che del fenomeno del terrorismo rosso trattano con attenzione. Il primo è stato, un anno fa, Generazione Settanta, di Miguel Gotor, dove il terrorismo non è il solo oggetto del libro, ma ne è una parte importante. Tra l’altro Gotor è uno studioso che sul rapimento Moro ha scritto molto. Il secondo libro è più recente, è uscito dopo l’estate, ed è specificatamente dedicato a Genova. Dolore e Furore, Una Storia delle Brigate Rosse, autore Sergio Luzzatto, che insegna nell’Università del Connecticut, negli Stati Uniti (per entrambi l’editore è Einaudi).
L’autore è genovese di origine, il padre è stato docente universitario e politico, anche se, come molti italiani, ha poi trovato la sua strada lontano dall’Italia.
Il libro, come dice il sottotitolo, si sofferma sulle Brigate Rosse genovesi, partendo dagli anni della contestazione e non dedica spazio al terrorismo nero, come invece ha fatto il torinese Gotor (il terrorismo nero ha preceduto temporalmente il terrorismo rosso).
É una storia, questa narrata da Luzzatto, precisa e avvincente, scritta con solide base documentali; i documenti di polizia, ormai noti, le pubblicazioni e le testimonianze scritte di alcuni dei partecipanti, infine le testimonianze orali, che l’autore ha raccolto sia a Genova (colpiscono gli incontri con l’ex terrorista nella chiesa delle Vigne), che via telefono dagli Stati Uniti dove risiede (presumiamo via Skype). Forse quest’ultime sono le più interessanti, perché i diretti interessati hanno chiarito, spiegato, anche inserito stati d’animo, quanto si sapeva solo dalle carte processuali, o dai giornali. Senza rischi penali tra l’altro, perché i reati sono ormai prescritti, e qualora non lo fossero, ove sia avvenuta una sentenza, di assoluzione o di condanna, il reo non può più essere processato. I giuristi lo spiegano come ne bis in idem.
E veniamo al Tigullio. Luzzatto non si sofferma, non accenna neanche, all’ormai famoso convegno del novembre 1969 all’hotel Stella Maris a Chiavari, da molti ritenuto uno dei momenti di avvicinamento alla formazione terrorista, al quale partecipò anche Renato Curcio. Si sofferma invece, in due parti, sul ruolo di Rapallo nella storia delle Brigate Rosse. Se la prima è in parte nota, la seconda avrebbe del clamoroso.
Che i brigatisti avessero una base a Rapallo è cosa nota, è stato scritto dai giornali negli anni ottanta, ma era certamente noto agli investigatori già alla fine degli anni settanta, perché dopo il 1977 proprio a Rapallo una sera i Carabinieri effettuarono un attento controllo all’arrivo dei treni da Genova, soffermandosi in particolare sui volti dei viaggiatori di giovane età (la testimonianza è di mio padre), e alcune sere dopo probabilmente fecero altrettanto a Santa Margherita (questa volta il ricordo è mio).
Luzzatto scrive che nel febbraio 1975 Giuliano Naria, in seguito salito alle cronache per le sua attività di terrorista, affittò usando il nome di un ex collega di lavoro un appartamento a Rapallo, in via Camporino (nella parte bassa, nei palazzi degli anni sessanta), sarebbe diventato il primo covo della colonna genovese. Come fonte cita un fascicolo di polizia che si trova all’Archivio di Stato di Torino. Quindi una notizia sicura.
Scrive anche che il covo sarebbe stato scoperto due anni dopo.
La seconda notizia è che durante il rapimento Moro, nella primavera del 1978, se la prigionia del politico democristiano è stata a Roma, la centrale operativa delle BR era altrove. Su questo punto, scrive, non c’è chiarezza, chi dice (siamo nelle fonti testimoniali orali) che la BR si riunivano a Firenze, chi “nella Riviera Ligure, cioè a Rapallo”, chi sostiene che prima fu Firenze e poi Rapallo (pag. 413). Nella centrale si riunivano i quattro brigatisti dell’esecutivo nazionale, tra i quale Mario Moretti. Non è chiarito se era ancora in via Camporino, o da qualche altra parte. Se si riunivano a Rapallo è evidente che la decisione finale, l’uccisione, è stata presa qui, nella città nella quale l’On.le Aldo Moro era stato accolto con tutti gli onori una quindicina di anni prima.
L’interesse specifico per il rapallese termina a questo punto. Resta, alla fine della lettura la stessa domanda che peraltro non ha avuto una risposta esauriente neanche dopo la lettura del libro di Gotor. Perché solo in Italia? Perché solo in Italia, tra i paesi europei e gli USA, gli anni della contestazione sono stati seguiti da questi anni così sanguinari? Se Gotor fornisce una risposta esauriente per il terrorismo nero, inquadrandolo nella collocazione internazionale di cerniera dell’Italia al tempo della guerra fredda, con un forte Partito Comunista che poteva accedere al potere, quindi il terrorismo nero doveva fermare l’avanzata del PCI, per le Brigate Rosse manca una risposta. A meno di non pensare, come disse più volte il politico repubblicano Ugo La Malfa negli ultimi anni della sua vita (morì nel 1979) che l’Italia senza un forte aggancio all’Europa sarebbe scivolata inevitabilmente tra i paesi dell’America Latina, dove sì, il terrorismo è stato anche più sanguinoso, e la repressione ancora di più.