Sandro Antonini è ben conosciuto dai lettori liguri, dopo aver pubblicato sulla nascita del fascismo a Genova, è passato a storie sul partigianato ligure e sulla guerra di Liberazione, per soffermarsi quindi sui fascisti (La Banda Spiotta). Antonini ritorna ora con questa ponderosa storia di oltre 550 pagine, sulla Liguria durante i seicento giorni della Repubblica Sociale, dal settembre 1943 all’aprile del 1945.
Si tratta di un periodo storico sul quale non mancano studi, a partire da quello fondamentale dell’inglese Frederick Deakin (Storia della Repubblica di Salò), che in realtà ha un respiro temporale più ampio di quanto lasci pensare il titolo italiano (The Brutal Friendship, Mussolini, Hitler and the Fall of Italian Fascism è il titolo originale, e il racconto inizia nel 1942).
Antonini si sofferma sulla Liguria a partire dall’8 settembre del 1943, quando con l’armistizio il governo Badoglio terminò una guerra che era stata voluta dal fascismo e che ora era chiaramente persa, con l’esercito alleato che aveva conquistato la Sicilia e che proprio in quei giorni stava sbarcando in Calabria.
Con l’attenzione di sempre agli archivi e alle testimonianze coeve, l’autore presenta singoli “ritorni a casa” di soldati sbandati, passa quindi a raccontare l’occupazione tedesca, peraltro già pianificata da tempo con il piano Alarico. É solo con la fine di settembre, inizio ottobre 1943 che si può parlare di una nuova organizzazione statuale, la Repubblica Sociale Italiana; il via potrebbe essere individuato nel ritorno sulla scena di Mussolini, liberato dal Gran Sasso e trasportato in Germania, che il 18 settembre si rivolgeva agli italiani con il discorso pronunciato dalla radio di Monaco.
La Repubblica Sociale fu certamente una soluzione di continuità con lo stato fascista che sarebbe dovuto terminare il 25 luglio, gran parte degli impiegati e funzionari amministrativi continuarono il loro lavoro. Fu anche, in un certo modo, un modello statuale realizzato in modo non completo, dove alcuni suoi pilastri in realtà funzionarono indipendentemente dalla struttura di potere. L’esercito, che in un paese in guerra dovrebbe avere un ruolo fondamentale, non fu mai coeso, ci furono, semmai, le forze armate della repubblica, parte delle quali operavano in modo autonomo. La principale fu la Decima Mas, del Principe Borghese, che si reputava una forza militare autonoma alleata direttamente ai tedeschi.
L’altra grande forza militare, la Guardia Nazionale Repubblicana, sorta in ottobre per raccogliere ciò che restava della vecchia Milizia fascista, e nella quale vennero fatti confluire i Carabinieri, proprio per avere al suo interno questi ultimi, che avevano giurato fedeltà al re e che avevano tradizione di devozione alla dinastia, era malvista dai fascisti.
In seguito, a metà del 1944, sorse quella che fu forse la formazione repubblicana che più ne incarnò lo spirito, le Brigate Nere. Sorte dalla fusione di vari gruppi armati fascisti, le Brigate Nere volevano rappresentare il partito fascista in armi; in realtà le Brigate Nere furono ricettacolo di fascisti intransigenti, ma anche di autentici criminali di diritto comune. Su questo punto Antonini produce una notevole quantità di documenti della polizia (la polizia della Repubblica Sociale).
L’esercito vero e proprio, ciò che era restato dopo l’8 settembre, la dispersione dei militari e l’invio in Germania di quanti erano stati fermati dai tedeschi, era limitato a quattro divisioni, la più famosa delle quali era la divisione alpina Monterosa, formata in Germania tra gli internati militare. Ma la Monterosa, arrivata in Italia, fu presto vittima di diserzioni, dapprima singole e quindi, nell’ottobre del 1944, di interi reparti, che si unirono ai partigiani.
Un capitolo è dedicato alla popolazione civile, al suo stato. Antonini ha esaminato una quantità di lettere raccolte dal servizio di censura postale, che era stato instaurato nel 1940 all’inizio della guerra, e che preparava dei rapporti periodici sui sentimenti della popolazione. Popolazione che era poco politicizzata, dove prevaleva il sentimento di difesa dell’interesse personale; una certa simpatia per il movimento partigiano arrivò solo dopo l’estate del 1944, soprattutto tra gli operai. Ma la preoccupazione principale della gente era la ricerca del cibo, scarso, e quando c’era, ai prezzi irraggiungibili della borsa nera.
In una storia della Repubblica Sociale non poteva mancare il capitolo sulla Resistenza. Antonini ben conosce l’argomento. In questa sede si sofferma sulla sua genesi; la Resistenza al suo inizio non era formata da intellettuali o da politici, che quasi non c’erano, se si eccettuano alcuni quadri del Partito Comunista clandestino, ma dai militari sbandati. Furono i militari sfuggiti ai tedeschi che nel settembre/ottobre 1943 si rifugiarono sui monti con le armi che erano riusciti a trafugare e si organizzarono nelle prime formazioni. Questo è vero anche nel Tigullio, la futura divisione Cichero si formò per iniziativa di un ufficiale delle caserme di Chiavari, che il 9 settembre raccolse qualche commilitone e le armi che ebbe a disposizione e si trasferì sulle colline sopra Favale di Malvaro. Nacque così la leggenda di Bisagno. Anche a La Spezia un ufficiale di Marina, Pietro Borrotzu, formò le prime formazioni con un altro ufficiale di complemento, Antonio Zolezio.
Se partiamo da questo grande affresco di Sandro Antonini e si confrontiamo con quanto avvenne a Rapallo nei seicento giorni di Salò, troviamo solo conferme. A partire dai primi momenti della rinascita del partito fascista. I fascisti che si riorganizzarono furono spesso i più intransigenti, che dopo il 1925 erano stati allontanati. “Mi sono iscritto al Partito Fascista Repubblicano in ottobre del 1943. Ho partecipato alla fondazione del Fascio Repubblicano a Rapallo insieme con Dané Giuseppe, Galli Giuseppe, Andermarcher e altre persone di cui ora non ricordo il nome. Non avevo alcun incarico precipuo” depose nell’interrogatorio cui venne sottoposto dopo la Liberazione uno di questi. Luigi Quartero. Due mesi dopo troviamo Quartero a San Pietro, a cercare un ebreo che vi si era rifugiato per catturarlo. Danè sarebbe stato condannato a morte in contumacia nel 1945, per alcune sue azioni in Piemonte.
Furono queste persone, che non rivestivano alcun ruolo pubblico, che razziarono i renitenti rifugiati nella campagne, dettero la caccia agli ebrei, rubarono, quand’era possibile, prodotti alimentari e gioielli. E sempre a Rapallo, troveremo il nome di Pietro Borrotzu nella formazione, intitolata alla sua memoria, alla quale appartenevano la dozzina di partigiani scesi da Montallegro il 23 aprile del 1945, sei dei quali furono fucilati al muraglione antisbarco, ma questa è un’altra storia.
(Nella foto di copertina un gruppo di Brigatisti di Savona poco prima di essere fucilati – Archivio Antonini)