Nel Marzo 2018 sono iniziati i lavori per il rifacimento della copertura del Torrente San Francesco.
Da allora sono passati 4 anni e 9 mesi per avere: un primo pezzo incompleto di copertura verso mare, la posa di qualche nuova trave in acciaio, una voragine aperta in pieno centro, Corso Assereto chiuso al traffico e diventato parcheggio.
E’ certamente un primato, ma in negativo.
Con lo stesso tempo è stato costruito, a Milano, oltre il 50% del quartiere CityLife di ben 366 mila metri quadrati, con appartamenti, uffici, spazi destinati alla ristorazione e parco pubblico, firmato dalle archistar Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Arata Isozaki.
Per il lotto in fase di realizzazione sul San Francesco, il cartello di cantiere riporta un inizio lavori al 18 ottobre 2021 ed un tempo di esecuzione di 450 giorni (metà gennaio 2023).
La situazione attuale non fa certo pensare che questi tempi saranno rispettati e pertanto ci saranno ulteriori trascinamenti.
Chissà quando si potrà porre la parola fine a questa vicenda.
Un intervento che molti disagi sta creando, lede fortemente l’immagine della città, crea disamore e rassegnazione nei cittadini e nei turisti.
Un intervento dal costo globale di 6.600.000 €, finanziato per il 30% dalle casse comunali (e fondi statali) e per il rimanente 70% da Regione Liguria, realizzato, nei suoi stralci, da imprese diverse, da progettisti diversi, con tecniche costruttive diverse … pur essendo l’opera unica.
Anche questi ultimi aspetti costituiscono un primato e nuovamente in negativo.
A coprire il tutto (chissà quando!) un progetto di superficie redatto dal famoso architetto Michele De Lucchi incaricato dall’amministrazione comunale di riordinare questa porzione di città.
Progetto presentato all’opinione pubblica a Villa Tigullio la sera del 23 luglio scorso e che ha subito generato dissensi diffusi.
Pur essendo l’architetto De Lucchi, professionista di fama internazionale, il progetto non è centrato.
Non vengono raccolte le istanze degli operatori commerciali della zona che desideravano maggior spazio pedonale davanti alle proprie attività in modo da creare una continuità con il limitrofo centro storico.
Viene immaginata un’isola centrale con l’ambizione di essere parcheggio e all’occorrenza, tolte le auto, divenire una piazza per eventi: senza una panchina, senza zone d’ombra, con le macchie d’olio e di benzina sulla pavimentazione, difficilmente raggiungibile dai pedoni.
Viene data l’illusione poi, di una piazza dotata di un “colonnato” di palme, quando queste palme non potranno mai essere messe a dimora per il fatto che sotto non c’è un terreno in cui piantarle ma anzi: una soletta di cemento armato di 50 cm, delle travi in acciaio, il vuoto e poi l’acqua del torrente.
Insomma un progetto un po’ distratto che vuole regalarci però ancora due segni: una fontana marina in zona Castello sul mare ed una perla su un obelisco in zona Cavallini.
Due segni gratuiti ed inutili, come se fossero avanzati da altri progetti e messi casualmente lì.
Rapallo ha bisogno di progettazione intesa come ricerca.
Ha bisogno di amore e di dettaglio.
Non ha bisogno di gesti estemporanei per far passare la notizia su qualche social con la foto o il selfie di rito.
Sono segni che rimangono per sempre (come l’imponente massicciata che ha stravolto il lungomare Vittorio Veneto) e di segni negativi, che Rapallo tiene e terrà per il futuro, ce ne sono già.
Uno tra questi è l’intensiva edificazione che ha caratterizzato la Via Betti negli anni 60/70 del secolo scorso.
Via Betti che, dopo la costruenda copertura a valle del Torrente San Francesco, passate le Vie Pellerano Murtola e Bartolomeo Maggiocco si sviluppa dal ponte Liliana Ampola in zona funicolare fino al ponte dell’autostrada.
Una via Betti che accoglie nel suo ventre lo sinuoso sviluppo del Torrente San Francesco su cui si affaccia un edificato antico fatto di piccole case a tre/quattro piani ma su cui, anche, si mostra l’edificato speculativo degli anni 60/70 che poche remore ha avuto fondando, ad esempio, le sue strutture portanti sulla sponda sinistra a scendere dell’asta del Torrente.
Un tratto di Torrente dimenticato, di cui non si parla, che con il suo sviluppo di 1500 metri, dal ponte dell’autostrada fino alla foce in mare, rappresenta un serio pericolo per la zona e per la città.
E’ bene ricordare infatti che l’intervento della costruenda copertura a mare del San Francesco risolve sicuramente un limite statico della vecchia soletta demolita e inadatta ormai a reggere il tonnellaggio dei pullman e dei camion, ma mitiga, ripeto, mitiga, solamente il rischio idraulico costituito dalla possibile esondazione del Torrente.
In oggi la cartografia del Piano di bacino del Torrente San Francesco Ambito 15, riporta le aree su sponda destra e sinistra come aree in larga parte in Zona Rossa di Fascia A, inondabili con tempo di ritorno fino a 50 anni.
Tradotto, significa che a seguito della sola costruzione della copertura a mare sul Torrente e senza eseguire altri interventi sull’asta torrentizia fino al ponte dell’autostrada, la zona limitrofa al San Francesco rimane in larga parte in Fascia A ed il Torrente conserva una forte propensione all’esondazione che, qualora avvenisse, interesserebbe la Via Betti e, tramite Via Bolzano ed il sottopasso ferroviario, tutto il centro storico compresa Piazza delle Nazioni.
Roba da far tremare le vene ai polsi.
Eppure si conosce cosa sia necessario per il tratto del Torrente all’aperto: abbassamenti dell’alveo, ricostruzione delle sponde con svariate tecniche, riduzione (scapitozzamento) delle briglie (cascatelle che aumentano la velocitò dell’acqua), demolizione dei 10 ponti (privati e pubblici la cui demolizione era stata chiesta anche dalla polizia idraulica dell’allora Provincia) che attraversano l’alveo e ricostruzione di solo 8 di essi in campata unica senza pila centrale, una vasca di sedimentazione nel tratto di Torrente sottostante il ponte dell’autostrada per raccogliere le acque delle piene ed alleggerire il deflusso nell’alveo.
Tutte previsioni contenute all’interno del progetto preliminare commissionato dalla Giunta Costa nel Dicembre 2013 e riprese poi nel progetto generale che ha avviato le attuali fasi di cantiere.
Interventi per una ipotesi di spesa di oltre 20 milioni di euro.
Interventi, la cui progettazione definitiva ed esecutiva non ha mai avuto seguito.
Come se non fosse necessario, come se Rapallo finisse al Ponte della Ferrovia, come se oltre questo ci fosse un tessuto urbano poco significativo … appunto di serie B .
Non si capisce come in oltre 8 anni di governo locale, l’attuale amministrazione non abbia affidato incarichi progettuali per definire in modo esecutivo quanto fosse necessario ed il suo costo, per poter dire di aver fatto tutto il possibile, per poter dire di avere un progetto cantierabile nel cassetto pronto per essere attuato e che il limite alla sua attuazione potesse essere rappresentato dal solo aspetto economico.
Ma Rapallo, dopo aver speso 30 milioni di euro di avanzi di bilancio (non si comprende dove) ha perso due straordinarie occasioni di finanziamento pubblico.
La prima rappresentata da Italia Sicura, unità di missione istituita dal Governo Renzi e poi portata avanti dal Governo Gentiloni, per la gestione di interventi e relativi piani finanziari finalizzati alla riduzione del rischio idrogeologico del territorio nazionale.
Con Italia Sicura si sono finanziati, ad esempio, gli interventi della nuova copertura del Torrente Bisagno e dello scolmatore del Fereggiano a Genova per quasi 400 milioni di euro e, più vicino a noi, la messa in sicurezza dei Torrenti Rupinaro e Campodonico a Chiavari e San Siro e Magistrato a Santa Margherita Ligure.
Per il nostro Torrente San Francesco, a fronte di una preliminare istanza di fondi per 18.770.000 € (presentando un progetto preliminare redatto, come detto, dalla Giunta Costa), non è seguita poi nessuna altra iniziativa per giungere al risultato del finanziamento, della pubblicazione delle gare d’appalto e del conseguente avvio dei cantieri.
Italia Sicura è stata poi dismessa da parte del Governo Giallo Verde nel 2018, con l’intento di affidare la gestione delle medesime problematiche alle strutture del Ministero per l’Ambiente.
Perso il treno di Italia Sicura, il post Covid ha consentito la creazione a livello europeo di un salvadanaio di fondi per i più disparati interventi per il rilancio e la sicurezza dei paesi europei colpiti dalle recessioni generate dalla pandemia. Tale salvadanaio è conosciuto ai più con l’acronimo PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) per un totale di fondi messi a disposizione dell’Italia da parte dell’Unione Europea, a debito e a fondo perduto, pari a 222 miliardi di euro.
Ma di richieste di finanziamento nell’ambito delle misure previste dal PNRR, almeno legate ai costi per la sola progettazione definitiva ed esecutiva per la messa in sicurezza totale del Torrente San Francesco, nessuna traccia (si sperano, chiaramente, smentite).
Eppure con una Giunta locale che, attraverso i suoi organi tecnici, ha contribuito ad autorizzare una mastodontica diga di 7 metri a delimitazione del Porto privato ed una rifioritura della massicciata sul lungomare Vittorio Veneto con tonnellate di scogli dell’estensione a mare di 13 metri, giustificando tali interventi come necessari per la protezione della città, non si capisce come la stessa attenzione non sia stata prestata per mettere in sicurezza la Via Betti e tutto il territorio ad esso contiguo, attraverso interventi strutturali sull’asta del Torrente San Francesco.
Ci si protegge dal mare in modo sproporzionato, ma si lasciano scoperte le spalle rendendo il medesimo territorio, che si è pensato di preservare, vulnerabile alle esondazioni di un Torrente pericoloso e sottovalutato.
Una significativa area della città, quella della Zona Rossa, di migliaia di abitanti e mq, di centinaia di attività lavorative, con potenziali rischi e forti limitazioni nell’uso del suolo (in zona rossa non sono consentiti cambi di destinazione d’uso, nuove costruzioni, né tantomeno parcheggi interrati come quello immaginabile sotto Piazza delle Nazioni).
Una significativa area della città quella di Via Betti, all’interno della Zona Rossa, abbandonata a se stessa, che non fa parte del salotto buono della città dove si concentrano gli investimenti (sostanzialmente privati) ed i cui abitanti, cittadini e contribuenti, vivono il quotidiano, il contingente, il necessario.
Le cronache recenti che raccontano le fragilità del territorio non ci fanno dormire sonni tranquilli.