Non erano ancora spuntate le luci dell’alba la fredda mattina dell’11 gennaio 1946, al poligono di Pedegoli, sopra Quezzi, a Genova, quando Spiotta, Righi e Podestà vennero falciati da un drappello della Polizia composta da ex partigiani del Levante ligure, in esecuzione della condanna a morte pronunciata il 18 agosto dell’anno precedente dalla Corte d’Assise Straordinaria di Genova. Si chiudeva definitivamente un triste capitolo iniziato oltre due anni prima, a Chiavari quando, nel settembre 1943 venne costituito il fascio repubblicano e iniziò il tragico periodo di Salò. Che a Chiavari e nel Tigullio ebbe come capo incontrastato Vito Spiotta, vicecomandante della Brigata nera genovese Silvio Parodi, autore di rastrellamenti, uccisioni, deportazioni. Fu anche uno dei pochi casi in cui i responsabili vennero assicurati alla giustizia e pagarono per i loro crimini.
Perché in Italia, nonostante che nei seicento giorni della Repubblica di Salò i collaboratori del nazismo, i rastrellatori di ebrei e di partigiani, fossero stati migliaia, a pagare furono veramente in pochi, e spesso solo i gregari. Ben diversa la situazione in Francia, dove di fronte ai plotoni finirono giornalisti, registi e scrittori (come Robert Brassillach e Jean Mamy, che aveva diretto nel 1943 il film Forces Occultes e che venne fucilato nel 1949).
In Italia la questione della punizione dei collaborazionisti si pose all’attenzione del governo alla vigilia della Liberazione, quando il 22 aprile 1945 venne promulgato un Decreto Luogotenenziale (il Capo dello Stato era Umberto di Savoia, non ancora re) che istituì, nell’ambito delle Corti di Assise, le Corti d’Assise Straordinarie, con il compito di giudicare i collaboratori dei tedeschi. Le Corti Straordinarie erano formate da due giudici togati, tra cui il presidente, e una giuria popolare estratta a sorte da un elenco di cento persone fornite dal locale Comitato di Liberazione, applicavano il codice penale militare di guerra.
In realtà le Corti furono molto garantiste per gli imputati, perché i giudici togati, che provenivano tutti dal fascismo, anche se naturalmente non tutti erano fascisti, pensiamo solo al torinese Galante Garrone, potevano indirizzare il giudizio della giuria, e quand’anche la giuria avesse deciso in maniera non condivisa dai giudici togati, questi ultimi, nell’estendere la sentenza, avevano la possibilità di evidenziare i vizi che sarebbero poi fatti valere in occasione del ricorso in Cassazione. Inoltre, prima di arrivare al dibattimento c’era l’istruttoria, condotta da un giudice di carriera, che poteva prosciogliere gli imputati.
A Rapallo gli appartenenti alla squadra fascista che aveva ucciso Giacomo Frantini, furono tutti prosciolti in istruttoria nel 1946, meno lo sparatore, che venne poco dopo prosciolto a sua volta per sopravvenuta amnistia. Questo spiega perché alla fine i giudizi capitali eseguiti furono molto pochi, cinque in provincia di Genova, oltre ai tre di Chiavari. Inoltre in alcuni sporadici casi alcuni esponenti della Resistenza testimoniarono a favore di qualche imputato. Come nel caso del chiavarese Leone Garbarino, appartenente alla Brigate Mazzini, che in un altro processo tenutosi a Chiavari, testimoniò a favore del brigatista nero Motta (disse che l’aveva visto più volte e che, pur conoscendo il suo ruolo, non gli diede fastidio). Per questa testimonianza Motta ebbe trent’anni in luogo della pena capitale (ne scontò sei).
I giorni di Salò nel Tigullio, che hanno anche risvolti rapallesi, perché, ad esempio, in occasione della fucilazione dei due ostaggi sul ponte di Sant’Anna, il 5 novembre 1944, Spiotta era a Rapallo, sono già stati studiati e raccontati da Sandro Antonini (La banda Spiotta, De Ferrari Editore, Genova, 2007, rielaborato e ampliato di recente). Ora Getto Viarengo si focalizza sul processo, che si svolse a Chiavari in tre torride giornate dell’agosto 1945 (dal 16 al 18), e che vide alla sbarra, oltre al trio Spiotta, Righi e Podestà, collaboratori minori che se la cavarono con una breve reclusione. Fu un processo che ebbe grande partecipazione di pubblico, assiepato nell’aula ma anche nella piazza sottostante, dove seguiva lo svolgimento tramite altoparlanti. Nei tre giorni agostani transitarono nella sala il triste periodo dell’occupazione e le violenze fasciste.
Il processo venne ripreso dal cinegiornale e i giornali, non solo genovesi, vi dedicarono diversi reportages. Ricostruirlo non è stato facile, gli atti processuali sono andati smarriti, resta la sola sentenza depositata all’Archivio di Stato Genovese, mentre i giornali sono sempre reperibili. Getto Viarengo ha ricercato, oltre ai giornali, anche il filmato che venne girato in quei giorni. Il libro è l’occasione per rivivere uno di quei radi momenti dell’immediato dopoguerra nel quale gli italiani fecero i conti con il loro recente passato.
La presentazione avverrà il prossimo 30 aprile a Chiavari, presso la Sala Ghio-Schiffini della Società Economica. Nell’occasione verrà anche proiettato il cinegiornale del tempo.