Quando domenica prossima 25 aprile ci ritroveremo in qualche modo attorno ai resti del muraglione antisbarco a Langano, dove la notte del 24 aprile 1945 vennero messi al muro undici partigiani della Brigata Borrotzu, appartenenti alla Divisione Matteotti di Giustizia e Libertà, molti di noi ripercorreranno mentalmente quegli avvenimenti, quelle ore che culminarono nella fucilazione che costò la vita a sei partigiani, gli altri vennero solo feriti e riuscirono a fuggire poco dopo.
Non dimentichiamo però in quel momento chi non molti anni fa salvò dall’oblìo i documenti che hanno reso possibile la ricostruzione, rendendoli pubblici. Mi riferisco, è chiaro, a Vittorio Civitella, deceduto a causa del Covid solo qualche settimana fa nel Levante Ligure.
Perchè la storia della documentazione partigiana della Divisione Matteotti di Giustizia e Libertà è travagliata, come travagliata fu la storia dell’unità, costituita in Val Fontanabuona del giugno del 1944. Fin dalle prime settimane la presenza di un’altra formazione non venne accettata dal comando della Divisione Cichero, e dal suo comandante Aldo Gastaldi, Bisagno.
La Cichero non solo era la formazione più antica, formata nell’autunno del 1943, ma era anche garibaldina, cioè rispondeva politicamente alle direttive del partito comunista, comunisti erano i vicecomandanti e soprattutto i commissari politici. La nascita di una nuova formazione non solo venne vista come un pericolo militare, non poter controllare completamente il territorio, ma anche una sfida sul terreno ideologico. Le unità garibaldine non avevano come solo obiettivo combattere il tedesco e i fascisti, ma anche formare l’uomo nuovo di domani, il nuovo cittadino, con una educazione quasi monacale. Un partigiano (in realtà, un ragazzo) avrebbe rivelato anni dopo che venne duramente ripreso da un comandante perché sorpreso a solfeggiare una canzone di successo. I rapporti con la popolazione dovevano sempre essere improntati al massimo rispetto, ma anche a non fraternizzare eccessivamente.
La Matteotti era un’altra cosa. Il comandante era un ufficiale di complemento di marina, Antonio Zolezio, che politicamente apparteneva al partito d’azione (le divisioni di Giustizia e Libertà erano azioniste). Il partito d’azione, nato nel 1942, era un moderno partito democratico che si ispirava ai valori occidentali, antifascisti e repubblicani. Per Zolezio la priorità era combattere il nazifascismo, al resto si sarebbe pensato dopo la Liberazione. Ed allora permetteva cose che per i garibaldini erano impossibili solo a pensare. In un rapporto della Cichero si trova che un giorno alcuni partigiani garibaldini, mentre attraversavano un bosco, vennero attirati da una musica. Erano un gruppo di partigiani giellisti (cioè della Matteotti) che ballavano con alcune ragazze al suono di una fisarmonica. Ne furono tanto colpiti, in senso negativo, che fecero rapporto al comando. Zolezio permetteva che molti partigiani della sua formazione, che risiedevano in località isolate, risiedessero nella propria casa, curando la terra, venivano chiamati per le azioni. Anche questo era impensabile per la Cichero, dove la divisione era uno scuola per il futuro.
Con questo retroterra, i rapporti tra Gastaldi e Zolezio furono pessimi fin dall’inizio, e nell’estate del 1944 per ben due volte la Cichero disarmò la Matteotti, che riuscì a sopravvivere solo grazie all’intervento del partito d’azione genovese nel comando militare ligure.
Questa situazione provocò amarezza e risentimento in Zolezio, che dopo la guerra abbandonò la politica, complice anche il fallimento del partito d’azione, e si dedicò al lavoro d’impiegato, trattenendo presso di sé tutto l’archivio della divisione.
Dopo la sua morte, Vittorio Civitella, che da poco si era laureato in Scienze Politiche con una tesi sul Partito d’Azione, ne venne a conoscenza, e fu la base di un libro che pubblicò nel 2008, La Collina delle Lucertole. Fu proprio leggendo quel libro che chi scrive queste righe a sua volta venne a sapere che esistevano i documenti sui fatti di Rapallo dell’aprile 1945, e così nacque L’eccidio del Muraglione (qui in versione integrale), pubblicato l’anno seguente.
Vittorio Civitella continuò la strada che aveva intrapreso, lo studio del movimento resistenziale in Liguria nel filone azionista e socialista con altre pubblicazioni e avrebbe senz’altro continuato se la pandemia non ce l’avesse portato via. Noi a Rapallo gli dobbiamo una particolare gratitudine perché ci ha permesso di conoscere i dettagli di un momento che altrimenti sarebbe stato sepolto nella grande storia della nostra Liberazione.
(Foto di copertina di Paolo Marchi, impressa in occasione della presentazione di un libro nella sala del Consiglio Comunale – 2015)