Gli ultimi due responsi elettorali (quello comunale dello scorso anno e quello recentissimo consegnatoci dalle elezioni regionali) vanno oltre la soglia di un semplice vittoria del centrodestra.
Ai beneficiari di così ampio consenso, il peso specifico di tale suffragio (al netto della conseguente distribuzione delle poltrone che sta lasciando non poche né celate amarezze) configura un mandato forte, netto. Un mandato che dà la possibilità di governare efficacemente con un sottobosco politico e parlamentare a supporto consistente e compatto.
Tra la città di Rapallo, la città metropolitana e la Regione c’è una linea di continuità politica forte come non mai, una combinazione concede lo spazio ad attese importanti.
Massimo Zero, in un suo recente contributo, ha evidenziato come gli scenari del Recovery Fund lascino aperte le porte a possibilità neppure immaginabili negli ultimi decenni ma che richiedono una capacità progettuale e sinergica a tutti i livelli, a partire proprio da quello comunale il più vicino e consapevole dei bisogni e delle necessità del territorio.
La seconda ondata della pandemia non farà altro che creare ulteriori problemi e renderà ancora più necessario l’avvio di progetti, sia di natura infrastrutturale, sia orientati allo sviluppo sia ai bisogni sociali, al fine di rimettere in moto una economia che era già in difficoltà nei mesi passati e che ora con il protrarsi della crisi sanitaria subirà ulteriori contraccolpi.
Dai territori, dunque, devono nascere indirizzi, proposte, progetti. Che oggi hanno un potenziale uditorio favorevole all’ascolto. E che possono sperare nella disponibilità finanziaria messa in campo con in provvedimenti della UE.
Ma non basta. Per fare questo, per farlo al meglio, c’è la necessità di un coinvolgimento di tutti gli attori a vario titolo interessati. Per non negarsi i contributi positivi che possono emergere e perché i nuovi inizi hanno bisogno del contributo di tutti. Non si tratta di travalicare confini politici e le responsabilità, quanto far partecipe le comunità del territorio nel suo insieme ad un processo che può davvero portare a cambiamenti strutturali.
Dunque, c’è la necessità di nuovi merito e metodo, c’è il bisogno di un processo di elaborazione in grado di coinvolgere senza escludere aprioristicamente alcuno.
La vicenda del porto privato, con l’ingresso di un investitore che intende dare il via ad un percorso di recupero e valorizzazione dopo la devastante mareggiata di due anni fa, potrebbe rappresentare la prima tappa di questo nuovo inizio. Il profondo impatto che la sua realizzazione ha avuto e ha sulla città e sulla costa, la sua nascita che divise la città negli anni che anticiparono la sua costruzione – i primi anni ’70 – e che ancora oggi è lungi dall’essere placato, le questioni ambientali che ne sottendono meritano il tentativo di accomunare, facendola partecipare in tutte le sue sfumature, un’intera città.
Il consiglio comunale del 19 ottobre scorso ha rifiutato la proposta di indire una assemblea pubblica in tema. Una decisione che appare particolarmente miope (e mesta persino nella forma) proprio perché votata da un’assemblea rappresentativa: che nega la necessità di un percorso aperto e condiviso su un tema vitale; che rifiuta un confronto sul merito che potrebbe portare contributi utili; che mortifica la possibilità che quell’opera possa aprirsi ad nuovo senso di appartenenza ridisegnando e ampliando il legame tra la struttura e la città che lo ospita.
C’è tempo per rimediare, sempre ammesso che si abbiano la lucidità di comprendere il peso del passo falso e forza nelle proprie ragioni. Non c’è di mezzo una pratica, ma l’idea di una gestione di un potere che in certi momenti deve essere in grado di aprirsi, senza preclusioni. Che non vuol dire far venire meno prerogative di chi lo detiene. Un potere in grado di guardare oltre le logiche di appartenenza, di accogliere le ragioni e i contributi compositi di una più ampia comunità. Che poi è la forza di un potere che serve.